Nel 1999 realizzai la mia prima Personale presso l’Associazione Culturale Luigi Montanarini di Genzano (RM), con testo critico sempre del Prof. Robertomaria Siena, che così mi commentava: PIERO MARSILI, ovvero delle delicatezze del mostro
L’Ignoto dispone del prodigio e se ne serve per Creare il mostro'”
V. HUGO
Piero Marsili è un pittore di “mostri”, e ciò è possibile se si tiene presente che, dalle avanguardie storiche in poi, la defigurazione si è prepotentemente insediata nel cuore della ricerca artistica. Ovviamente la “perdita del centro” e la “morte di Dio” non potevano favorire il rito della Bellezza Incontaminata, quella Bellezza che nell’Ottocento aveva trovato in Ingres un mago sublime ed invincibile.
Ora però va rivelato immediatamente che i “mostri” di Marsili risultano segnati da uno spessore etico che impedisce loro di affilare le armi, di trasformarsi in macchine da guerra aguzze e puntute. Sono goffi ed enormi, quindi incapaci di ferocia; inadatti al bellum omnium contra omnes, predicano l’imperativo categorico e il “dover essere”.
Marsili però non è un kantiano, l’etica che i suoi “mostri” coltivano non è astratta, né freddamente puritana. Si accompagna ad una condizione umana che scopre tutta la sua fragilità e tutta la sua contingenza. Spesso i “mostri” si trovano in una situazione di incomunicabilità che permette loro di recitare eloquentemente la parte di metafore dell’uomo. Ma non è finita; costantemente i “mostri” di Marsili denunciano uno iato abissale fra l’anima ed il corpo. Il corpo, appunto, debordante, sgraziato, ostacolo del bello; nella misura in cui li possiamo però avvicinare tranquillamente e possiamo stare in loro compagnia, scopriamo che la loro anima è bellissima e che l’entelechia è assai diversa dalla corteccia. Viene in mente Luigi Pirandello e la dolente separazione fra l’io profondo e la materia-carne. In una delle novelle per un anno, un personaggio così si confessa: “lei mi vede così grasso e forse non mi suppone capace di commuovermi ad uno spettacolo di natura. Ma creda che ho un’anima piuttosto mingherlina. Un’animuccia coi capelli biondi, e col visino dolce dolce, diafano e affilato e gli occhi color cielo”.
Sino a qui il discorso pittorico di Piero Marsili si lega sostanzialmente ad una visione referenzialista dell’arte; nelle opere più recenti però, la tradizione formalista (forgiata dalle avanguardie storiche e confermata dalle neoavanguardie), tende a prendere il sopravvento. I “mostri” iniziano così a perdersi come “uomini”; la defigurazione va avanti velocissima in direzione di una evidente perdita di rapporto con la realtà. Dunque, l’antireferenzialismo pretende la sua parte e punta a far sì che l’opera risolva se stessa all’interno della propria architettura semantica e concettuale. Non possiamo prevedere quale sarà la prossima mossa di Marsili; ci troviamo dinanzi ad un giovane artista che ama la ricerca e che intesse con questa un dialogo serrato e appassionato. Una cosa però è certa: Piero Marsili non abbandonerà mai il terreno della pittura; il calvinismo inerente alle diverse forme di concettualismo non lo interessa e non lo convince.
Ha bisogno del calore della pittura per raccontare quello che vuole raccontare.
L’Arte, per lui, è dunque materia, corpo, sensibilità, fisicità; la mente non è scissa da tutto ciò; è costantemente invasa dalla carne e intende farci precipitare nel gorgo della seduzione che ha filato a nostro vantaggio.
Robertomaria Siena, 1999
In tutto questo periodo di ricerca vi sono stati momenti in cui ho riscoperto a tratti alcuni colori (il giallo, il viola, il bleu..) per poi essere ritornato all’essenzialità del Bianco, Rosso e Nero..
Il Prof. di Storia dell’Arte Contemporanea e Critico d’Arte Gabriele Simongini, che conobbi nel 2000); durante la Rassegna Internazionale d’Arte ” Premio G.B. Salvi” Comune di Sassoferrato, (AN) cui partecipai nel 2011, così citava:
Per Piero Marsili la pittura fiammeggia di passione incandescente, senza mezzi termini. E la fiamma riluce nel colore abbagliante, puro, pastoso, talvolta spudorato ed assolutamente diretto. Ne emerge un mondo primordiale fatto di colossi in miniatura che si dibattono e lottano per i propri sogni e per le proprie speranze sullo sfondo di cieli rossi e gialli.
E dovunque, in queste opere, “l’amore chiama il colore”, come amava dire V.V. Gogh. Sono vessilli per un’umanità più semplice e naturale, capace di riscoprire valori ormai dimenticati.
Marsili crede profondamente nella libera scelta di sentirsi inattuali, scollegati dalle manie e dalle mode di una società perennemente iperconnessa con desideri illusori.
“Stiamo vivendo un mutamento antropologico – si chiede Giovanni Sartori – dall’homo sapiens all’homo videns, in cui il primato dell’immagine atrofizza il pensiero astratto, così che gli ideali democratici di uguaglianza e libertà appaiono a molti, vuoti o sfocati?”. Ecco, Marsili vuole restare un homo sapiens capace di pensare e sognare la libertà, ad esempio, dipinta in una delle due opere esposte a Sassoferrato.
E non è cosa da poco.
Gabriele Simongini, 2011